L’ombra di “M”.

A margine delle polemiche sulla Festa della Liberazione.

Non insisterei a chiedere all’attuale Presidente del Consiglio di esplicitare la sua idea di antifascismo. Il voto del popolo, seppure con l’enorme peso degli astensionisti, è andato al centro destra e la sinistra non è riuscita a dare corpo ad una proposta di riforme dell’Italia che potesse andare bene all’elettorato.

Quindi il potere spetta all’On.le Giorgia Meloni che non lo ha conquistato dicendo:”trasformerò questa Camera in un bivacco di soldati”. E non è necessario che faccia sapere al Paese come la pensa sull’antifascismo. E il Prof. Scurati sbaglia a chiederglielo.

L’Italia è stata fascista e in parte anche nazista finchè le cose andarono come voleva Mussolini. Cioè fino a quando le truppe naziste conquistarono Parigi, la Polonia e quant’altro.

La resistenza in quel periodo di avanzamento nazista si trasferì in massima parte all’estero fraternizzando con i partigiani d’Europa.

Ma quando le cose della guerra si misero male, quando la Russia resistette all’avanzata hitleriana e Londra divenne imprendibile; e quando entrarono in guerra gli Stati Uniti gli italiani si divisero e una parte irriducibile di essi fondò la Repubblica Sociale. La liberazione dell’Italia avvenne grazie al Vento del Nord che spazzò via il Fascismo prima ancora dell’arrivo degli americani.

Ma l’Italia non era liberata nei cuori di tutti. I comunisti tennero le armi in cantina in vista di una liberazione russa fortunatamente mai avveratasi. I fascisti subirono la Liberazione nonostante i governi democratici sostanzialmente promossero la pacificazione nazionale.

I bravi americani, per non sapere nè leggere nè scrivere, piazzarono i loro missili intercontinentali nucleari sul suolo italiano che, credo, non sono stati mai spostati.

E la divisione si è protratta fino ad oggi. Il Movimento sociale fu ritenuto fuori dell’arco costituzionale salvo utilizzarne i voti in Parlamento ogni volta che il Presidente del Consiglio di turno ne avesse bisogno. E’ evidente che la parte pseudo-fascista dell’Italia abbia mal digerito la democrazia nelle forme costituzionali che ha assunto in Italia. Ed abbia dovuto, obtorto collo, in tutti questi anni accettare un sistema che ogni due anni esprime una crisi di governo e nuove elezioni.

Ma la democrazia è sempre il sistema migliore rispetto ad ogni forma di dittatura.

Ed è qui il busillis per la destra. Modificare il sistema in una pseudo dittatura della Presidenza del Consiglio. Imbavagliare la stampa e la Rai, conquistare la parte centrale dell’elettorato (Renzi, Calenda e quant’altro) per togliere appoggi ad un ipotetico governo di sinistra. E’ fascismo? diciamo che è una forma moderna di democrazia presidenziale. La fine che fece il Fronte popolare in Francia non ha insegnato nulla all sinistra italiana.

Ancora non siamo fascismo ma è quella la strada maestra, l’idea che, nel tempo, finita l’epoca di Berlusconi che forse rimpiangeremo, gli eredi del fascismo e della Repubblica di Salò intendono percorrere, tra pistolettate alla Tex ed elucubrazioni sulla cattiveria dei comunisti. In Europa l’esempio dell’Ungheria è plasticamente esaminabile.

Quindi caro Scurati hai perfettamente ragione a livello intellettuale ma non ha senso chiedere lumi alla Presidente del Consiglio sollecitando una risposta che non può e non vuole dare. La risposta è nei fatti e semplicemente dirsi “antifascista” per Lei sarebbe troppo agli occhi del popolo sottomesso, un popolo che non ci deve capire nulla, solo credere, obbedire e combattere. Al limite divertirsi con Sanremo e il calcio.

Viva l’Italia liberatasi, viva la Festa di Liberazione.

Non chiediamo troppo a Mattarella

A margine del discorso di fine 2023.

(Fonte: http://www.quirinale.it)

In molti hanno criticato il discorso del Presidente l’ultimo dell’anno. Sarebbe il solito tronfio discorso che non ha novità o segnali di attualità. Tuttavia vediamo perché quel discorso non poteva essere diverso.

Intanto non si può prescindere da quanto succede nel panorama mondiale e interno che non consente di usare toni trionfalistici o grondanti felicità anche nel periodo delle festività.

Sul piano internazionale la furbata tragica di Putin tiene tutti col fiato sospeso dato che si sa per certo che il despota russo non si ritirerà dal Donbass se non attraverso un intervento bellico massiccio, anche con la partecipazione di truppe non ucraine, che non si sa dove porterebbe.

Sul fronte medio-orientale la miccia accesa dai terroristi di Hamas a Gaza sta lì a ricordarci che dal 1947 non c’è stata mai pace in quelle zone e che l’Onu e gli inglesi (che avevano il protettorato) non sono riusciti a combinare gran che sul piano diplomatico.

In Italia poi i politici usciti dalle ultime elezioni con il taglio dei parlamentari non si mostrano certo dei maghi e professionalmente potrebbero avere problemi anche con qualche esercizio di liceale memoria. Come dire, per risparmiare qualche milione di euro, 5Stelle e Lega ci hanno imposto i loro piccoli chimici mentre un Parlamento più vasto sarebbe stato più rappresentativo, meno controllabile e più valido alla fine. Eppure si vuole ancora maggiore controllo. E certo visto che non si riesce a convincere amici e avversari sui temi essenziali bisogna ingessare il Presidente della Repubblica e bloccare il potere saldamente in mano all’esecutivo. Potremmo adottare il sistema di Orban a questo punto. Rivendicare Nizza e Fiume. E’ chiaro che sono provocazioni ma la destra che vincerà le elezioni europee ha chiara solo una cosa: prendere il potere e tenerlo saldamente. Il resto verrà da sè. Pura illusione.

Per non parlare del debito pubblico e degli altri problemi sollevati dal Presidente come quello dei femminicidio. Qualsiasi paese che paghi 80 miliardi di interessi passivi sul debito avrebbe instaurato un regime economico di guerra, tagliando ogni euro di spesa pubblica non indispensabile. Ma non è così: la recente legge di bilancio è zeppa di concessioni clientelari. Ma tant’è. Del resto la maggior parte degli interessi va nelle tasche degli italiani, non certo di quelli che non arrivano alla fine del mese.

E si pretende che Mattarella dica va tutto bene la marchesa.

L’arrivo della destra al potere non ha fatto altro che rafforzare il celodurismo di bossiana memoria ben mascherato dietro doppi petti e marsine. Come se non si sappia che nei gangli pubblici del potere si inneggi a faccetta nera e al Duce la cui effigie viene invocata ogni sera da qualche nostalgico che siede sul secondo scranno del Parlamento.

Espressione della società italiana si dice, questa è l’Italia di oggi anche se sembra essere tornati al tempo in cui i treni arrivavano in orario e ce l’avevamo con la plutocrazia inglese.

Per cui il Presidente ogni anno non fa che ricordaci i punti critici che restano tali negli anni e fa bene, così forse ci entreranno bene in testa una volta per tutte. Fa bene anche perché è dovuto risalire al Quirinale perché i famosi politici, in parte dediti come in passato agli affari delle opere pubbliche, non sono riusciti a trovare un degno sostituto. Sono gli stessi politici che gli rimproverano di aver dato l’incarico a Monti e a Draghi, due economisti di valenza internazionale. Salvo poi giovarsi, gli stessi politici critici, delle azioni dei governi passati e dei miliardi che sono arrivati dall’Europa. Di fronte ai quali sono pure capaci di storcere il naso magari cambiando i progetti e facendo a gara a chi la spara più grossa, tipo la costruzione del Ponte sullo stretto.

Insomma non si fanno le nozze con i fichi secchi e bene ha fatto Mattarella a ricordarci che l’Italia è un bellissimo paese ma, come un Pierino impazzito, impossibile da gestire!

Merito e team, subito.

Osservazioni a margine di un articolo del Prof. Cottarelli su una proposta di riforma del Ministro per la pubblica amministrazione Paolo Zangrillo.

La proposta di dare una pagella al lavoro dei giudici (per non parlare di test psicologici) ha scatenato il solito putiferio, cosa che avviene puntualmente ogni volta che si tocca una casta di intoccabili. Succede quando si vogliono perseguire i politici per reati commessi pronti ad invocare le guarentigie appannaggio dei parlamentari oppure quando si vuole mettere sotto fisco, per esempio, alcune attività economiche dei religiosi svolte sul territorio dello Stato italiano. 

Oppure quando si vuole valutare la professionalità degli insegnanti o quella dei professionisti iscritti ad ordini di medievale memoria.

Insomma i gangli nevralgici del sistema pubblico e para pubblico ha sistemi inesistenti di valutazione ovvero sistemi fasulli che si basano su una sorta di autovalutazione concordata con i capi.

Come ci ricorda Cottarelli (Espresso dell’8 dicembre 2023) il Ministro Zangrillo propone di valutare i dirigenti pubblici a 360° gradi, vale a dire da parte dei superiori, ma anche prevedere una valutazione da parte di colleghi e subordinati.

Sembra un’ottima idea ma la strada sarà lunga in una giungla dove in molti si sono costruiti i loro bunker inaccessibili. Sarebbe anche ora di abbandonare la struttura gerarchica di tipo militare che ancora va per la maggiore nei ministeri e introdurre il lavoro in team, coinvolgendo di più le giovani risorse attualmente sottoutilizzate.

A Cottarelli il sistema proposto da Zangrillo non piace. Non sarebbe opportuno – a parere del professore – dare la possibilità ai subordinati di valutare i propri dirigenti.

Vediamo invece perché la proposta del Ministro potrebbe rivelarsi corretta.

Nella situazione attuale gli obiettivi da raggiungere nella pubblica amministrazione sono fissati, a cascata, sulla base della direttiva del ministro, in primis dal Direttore Generale e giù giù fino ai funzionari e altri altri dipendenti. Ma si tratta di obiettivi concordati e strutturati in modo tale che siano facilmente raggiungibili. Così ogni anno tutti i dirigenti e i dipendenti pubblici raggiungono un’adeguata performance e ricevono gli incentivi previsti contrattualmente.

Pochi soggetti restano fuori o vengono valutati in modo mediocre.

Dov’è il problema? I dirigenti generali sono scelti o confermati in base all’appartenenza politica. Si applica il famoso spoil system di derivazione statunitense. Al cambio di governo si decide chi confermare o sostituire.

Poi, appunto, a cascata, i dirigenti generali scelgono i dirigenti di cui si fidano. Il resto dei dipendenti, generalmente, resta per lungo tempo al posto con le medesime funzioni.

Chi meglio di loro conosce la macchina amministrativa e può operare suggerimenti o indicare criticità.

Il sistema per obiettivi attuale fa si che tutti siano legati tra loro in una sorta di abbraccio rischioso perché se qualche dirigente generale non li raggiunge ii responsabili, di fatto, vanno ricercati nel gruppo di dirigenti e dipendenti che lavorano con lui.

E’ questo sistema concordato con i sindacati e ingessato che fa acqua da tutte le parti a danno del merito. I sindacati hanno sempre rifiutato il merito perché non si fidano dell’onestà intellettuale dei dirigenti. E’ più comodo assicurare gli incentivi a tutti, a pioggia, anche ai lavativi.

E allora il Ministro Zangrillo ha ragione nel voler incrociare le valutazioni meritocratiche dall’alto e dal basso. Infatti le criticità potrebbero annidarsi e, in molti casi avviene, nell’incapacità del dirigente generale di fare squadra e di individuare risorse umane adeguate. Quindi aggiungere una valutazione dal basso potrebbe essere di aiuto per i diversi organi di valutazione. Non concordo quindi con lo stimato Prof. Cottarelli: in un sistema ingessato come quello dell’amministrazione pubblica odierna ogni aggiustamento, seppure piccolo, sarebbe ben gradito da parte dell’utenza e delle casse erariali.

La Svezia, il paese di Astrazeneca, oggi in crisi

Tassi alti

In base al periodo dei tassi alti che la BCE, con a capo Cristine Lagarde, ha dovuto intraprendere per contrastare lo schizzare in alto dell’inflazione, Svezia e Germania, per ragioni diverse sono entrate in crisi e, nel 2024, saranno le due uniche nazioni per le quali si ritiene giunga un periodo recessivo.

I dieci milioni di svedesi, retti da un governo socialdemocratico, fanno le spese di tale scelta per aver contratto soprattutto mutui a tasso variabile, e, probabilmente dovranno ridurre il loro benessere sociale invidiato da tutti. Così il mito svedese della casa per tutti comincia a scricchiolare visto che gli interessi da pagare diventano enormi e il prezzo delle abitazioni è destinato a scendere vorticosamente. Un pò quello che è successo negli Stati Uniti nel 2008 con i mutui subprime anche se l’innesco fu dato dalle alchimie finanziarie delle banche americane e l’utilizzo indiscriminato dei derivati.

Quello che ci preme evidenziare è come una scelta obbligata ma forse fatta troppo frettolosamente, quella del rialzo dei tassi in Europa, abbia potuto avere effetti così deleteri per gli svedesi e quasi inesistenti per gli altri paesi europei. E ci si chiede come mai i rappresentanti svedesi in seno al Parlamento europeo non abbiano fatto fuoco e fiamme per lo meno per rallentare la crescita dei tassi.

Poi si disse che Draghi era amico delle banche. Ora le banche si stanno arricchendo, hanno licenziato migliaia di lavoratori, chiusi innumerevoli filiali e vivono di rendita grazie ai tassi alti e l’homebanking che ci costringe a operare online con programmi informatici basilari e in alcuni casi veramente rompicapo. Non ne parliamo se dovete fare un bonifico e pagare le tasse con F23 o F24. Lì i campi da riempire diventano un terno al lotto. Ci si chiede cosa facciano i garanti e le autorità di controllo sulle banche che stanno andando per conto loro con un governo che ha tentato di tassarle ma che ha dovuto fare marcia indietro. A proposito di poteri forti.

Si è scoperto poi che gli alti tassi non hanno toccato minimamente le famiglie francesi i cui mutui per l’acquisto della prima casa sono in maggioranza a tasso fisso e questo la francese Lagarde non poteva non saperlo.

Forse è un’ulteriore spinta per far entrare la Svezia nell’euro – vige ancora la corona svedese – e nella NATO?

Prefazione alle Conferenze sul “militarismo” (dicembre 1897)

di Guglielmo Ferrero

Queste conferenze furono tutte, salvo la nona, tenute in Milano, tra il 7 febbraio e l’11 aprile del 1897, per incarico avuto dalla “Unione Lombarda per la Pace”. Naturalmente, furono prima dette in forma più breve e più semplice; allungate, arricchite e rimutate poi in vari modi, prima di essere date alle stampe. Al momento di pubblicarle, vorrei esprimere un desiderio: che non si attribuissero a questo libro ambizioni di propaganda troppo grandi; sopratutto che non si chiamasse il suo autore, come già mi sembra di udire, l’apostolo di una nobile utopia, che purtroppo utopia resterà. Questo libro non vuole annunciare agli uomini nessun nuovo regno dei cieli, nè descrivere nessun favoloso paese di cuccagna; vuol solo dimostrare che, nel passato, la guerra è stata la figlia dei peggiori vizi umani e non la madre delle più belle virtù; che nel presente, tra i popoli civili di Europa, la guerra non ha più alcuna funzione da compiere, e che perciò va sparendo; anzi è già morta e sopravvive solo nella immaginazione degli uomini, troppo lenta a seguire i rapidi rivolgimenti delle cose. Questa non è dunque una fantasticheria sentimentale, ma una analisi della vita, una interpretazione della 10 realtà; che può essere erronea; ma che fu tentata con il solo e deliberato proposito di penetrare la verità delle cose. Ammetto io stesso — e spero così di risparmiarmene il rimprovero — che questa dimostrazione non può considerarsi come interamente e rigorosamente scientifica; nè poteva esser tale, in brevi discorsi che miravano specialmente a diffondere nel pubblico le prime conclusioni di lunghe ricerche, che vo proseguendo da anni; e la cui prima dimostrazione, scientifica davvero, spero poter dare tra non molto, con gli studi sulla decadenza dell’impero romano. Pure mi sono indotto a pubblicare questi discorsi, perchè ho veduto che libri di questo tipo servono a diffondere tra le persone colte il gusto delle questioni e degli studi sociali; opera per sè stessa così utile, che si può senza rimorso consumare in essa tempo e fatica. E anche spero che il lettore intelligente non annovererà nè l’autore nè l’uomo a cui il libro è dedicato, per volere del quale le conferenze furono tenute, tra gli zampognari virgiliani che cantano egloghe, e descrivono una vita futura, tutta pace e dolcezze, deliziata da ruscelli di latte e da pioggie di miele. Questo libro è tutto pieno di orrore per la violenza cieca e brutale; per la ambizione sterile delle glorie militari, che non abbia altro scopo fuori di sè stessa. Questo orrore però non nasce dal credere che la vita possa o debba essere mai un idillio ininterrotto, ma dal pensare che, più la esistenza è piena di pericoli, di difficoltà, di grandi e nobili ambizioni, più 11 deve l’uomo purificare la sua morale, la sua politica, la filosofia della vita con cui si governa, da ogni stoltezza, follia e vanità. Ora noi abbiamo bisogno urgente di una simile purificazione. Da quarant’anni si lavora a persuadere il popolo italiano che la salute è per lui nei principî morali e nelle istituzioni di quel militarismo di tipo francese e napoleonico, che fu introdotto tra noi dopo il 1860; da quarant’anni si sottopone gran parte della gioventù maschia all’educazione della caserma; si tenta in tutti i modi di esaltar l’anima del popolo con una passione militare, che se non genera l’energia, la simuli almeno…. Eppure il frutto maturato da tanto lavoro sembra essere una crescente mollezza del temperamento nazionale. Nel mondo nuovo come nell’antico, i nostri operai si lasciano maltrattare a furore di popolo da moltitudini che inferociscono, anche perchè sanno di non trovare nelle vittime nemmeno la resistenza del furore disperato; sulle montagne e nelle macchie nostre più selvaggie il brigante intrepido comanda come un re a contadini e a signori; moltissimi dei nostri piccoli paesi sono ancora tiranneggiati da pochi facinorosi, maneschi e violenti, che la autorità tollera e che la viltà universale non sa umiliare; nelle alte classi gli avventurieri senza scrupoli, moltiplicando le audacie, dominano tutti, i ricchi, i nobili, i potenti, che non trovano nella coscienza dei doveri del proprio grado, ceto od ufficio, la forza di resistere a loro. E infine ecco tutti, a compiere il quadro, ripetere che la gioventù che cresce adesso è una gioventù di cen12 cio. È certo insomma che l’Italia ha bisogno di accrescere in sè tutti i coraggi, dal coraggio fisico al coraggio morale; di fortificare il suo popolino con uno spirito più marziale e di agguerrire le sue classi dirigenti di un maggiore ardire contro la disonestà prepotente. Orbene, questo libro vorrebbe cominciare a dimostrare che l’Italia non sarà mai capace di questa ricostituzione morale, se non capirà che è tempo di riparare agli sprechi del passato; se non capirà che un popolo, come una famiglia, non può vivere sempre di debiti; che è vano credere si possa indefinitamente, con artifici ingegnosi, godere più di quanto si è meritato con il proprio lavoro. La civiltà moderna è piena di agi, di delizie, di grandezze; ma non è ancora l’êra delle fate, in cui non sia più necessario meritarsi queste belle cose con audacia di intraprese e pazienza di lavoro. Invece, dal 1860 in poi, una parte del popolo italiano, quella purtroppo più colta e più favorita dalla fortuna, ha creduto che la civiltà moderna fosse solo godimento; fosse una specie di magia, per la quale noi avremmo potuto godere infinitamente più dei nostri padri, ma senza lavorare molto più di loro. Da questa idea, figlia di vari sofismi e della pigrizia insita nella natura umana, è nato il nostro modo presente di vivere e di governarci; è nata la crisi che, rovinando, dopo un’êra breve di prosperità, il popolo e la classe media, ha rotta, per dir così, la spina dorsale del paese. Non con guerre, fortunate o infelici, in Africa o in Europa; non con una educazione di caserma, che va di13 ventando ogni giorno più una apparenza, si potranno ridare al paese le energie di cui manca; ma con una riforma della vita pubblica e privata, che ristori la fortuna di queste classi, e faccia insieme possibile di migliorarne le condizioni intellettuali e morali. Ma questa riforma non è possibile, se sopratutto la classe media non dà alla fine un esempio di saviezza da lungo tempo atteso invano; se invece di lasciarsi scioccamente traviare da esempi mal capiti di lussi e grandezze straniere, non si persuade, guardando a sè, che senza dolore e spirito di abnegazione non si riesce a nulla sulla terra; che una onesta povertà tollerata pazientemente, durante un dato periodo, può essere, come fu per la Prussia prima del 1870, la prova della saggezza, per un paese il quale abbia da riparare follie passate e voglia prepararsi a futura ricchezza e potenza; che le impazienze della ricchezza e del lusso, privato o pubblico, fanno quasi sempre ricascare più giù nella miseria, nella incoltura, nella barbarie. Infine, al momento di mandare per il mondo questo libro, non posso non pensare ancora una volta, con una specie di vago affetto indefinito, a quel pubblico così variato che venne a sentire questi discorsi e col quale siamo vissuti due mesi, in una intimità, intellettuale, piena, da ambedue le parti, di tante sottili compiacenze e di tante calorose espansioni. Dei due mesi che furono necessari a svolgere, una domenica dopo l’altra, questo ciclo, mi rimarrà lungamente la memoria come di uno dei periodi della vita in cui ho vissuto più interamente in 14 una condizione di ebbrezza gioconda e di felicità piena. “Era — domanderanno molti — il piacere di vanità, provato nel ricevere gli applausi, nel vedere di volta in volta il pubblico crescere e riscaldarsi?” Sarei un ipocrita, se affermassi che questo piacere contribuì poco alla felicità di quei giorni; ma sento di poter dire che altri motivi più nobili di compiacenza si mescolavano ai primi e che la mia gratitudine per gli uditori di Milano non nasce tutta da un sentimento così egoistico. Vivissimo, intensissimo, quasi inebriante fu il piacere di vedere come l’anima di tanta gente diversa vibrasse per queste idee, trovasse in esse quasi il soddisfacimento di un bisogno intellettuale e morale. Tante delle idee di questo libro furono meditate a lungo, tra i cimiteri silenziosi di lontane cose morte da secoli, su vecchi libri e documenti coperti dalla polvere veneranda di ciò che fu, tra le rovine di civiltà passate; andavano diventando l’oggetto di una contemplazione deliziosa ma solitaria, nella quale non pensavo di avere a compagni che pochi spiriti curiosi di vedere e sapere…. A un tratto invece ecco rivelarsi che quella, che sembrava curiosità personale, rispondeva a un interessamento di molta gente; e la gioia ne è stata vivissima, come di chi si sente meglio a suo agio, quasi direi più a casa sua, nel mondo; come di chi, viaggiando paesi stranieri, si imbatte a un tratto in un crocchio di amici del suo paese, che parlano la sua lingua, e che egli credeva restati nella patria lontana; come di chi si sente crescere a un tratto tutte le forze dell’anima, trovandosi improvvisamente davanti la cosa, che 15 egli supponeva lontana e credeva di dover cercare con lunghe fatiche. Ancora una piccola avvertenza, e ho finito. Questo libro viene in luce dieci mesi dopo l’Europa Giovane. Ma l’Europa Giovane, se fu pubblicata nel marzo del 1897, fu scritta, parte nell’inverno e parte nell’estate del 1895; cosicchè questo nuovo libro rappresenta il pensiero dell’autore maturato di due anni. Il lettore potrà così spiegarsi certi mutamenti di idee, senza supporre nello scrittore una volubilità troppo grande. 

L’incontro con Romana Petri e il suo “Rubare la notte”

Addomesticare la volpe – La compagna pecora – Staccarsi da terra – Volare – La rosa

Capita che una sera passi per via Piave a Roma e sbirci la vetrina della libreria Mondadori. Tra varie iniziative è previsto un incontro con Romana Petri per discutere del suo ultimo romanzo “Rubare la notte”. La sera stessa ti trovi al piano di sotto della libreria ove un gruppetto di lettori attende l’evento. Sì perché lì è attivo un gruppo di lettura. Tra il pubblico molte donne, qualcuna giovane.

Insomma si comincia con un’introduzione (Gioacchino De Chirico) che pone delle domande a Romana. E lei non si fa pregare, anzi anticipa temi e storie che vuole raccontare.

Intanto ci dice che il suo autore preferito era ed è Jack London sul quale ha pubblicato anche un lavoro. Il tema che emerge prepotente è quello dell’infanzia, dei sogni, della notte luogo deputato per scorribande fantastiche e avventurose.

“Rubare la notte” è la vita romanzata dell’autore del Piccolo principe, le sue avventure, la sua voglia di volare e tante altre aspirazioni che Romana ci fa toccare con mano via via che il romanzo prende corpo. Il rapporto di Tonio (così si chiama il personaggio principe del romanzo) con la madre, genitore e amante virtuale, che lo segna per tutta la vita ma dalla quale si separa per andare nel deserto e in guerra.

Un’infanzia felice, quella di Tonio, che però ha le sue ricadute come non riuscire a stabilire un rapporto sereno con una donna. Ma Romana ci parla anche della sua infanzia e di come il padre, musicista e attore, le leggesse “Il Richiamo della foresta” interpretandone con passione i passaggi del testo ritto sul lettino prima dell’arrivo del sonno e della notte.

Un padre che a volte recitava l’Odissea e altri classici proponendo nuovi finali magari con la vittoria di Ettore, improbabile visto che Achille era un semidio.

Così crescendo Romana è rimasta segnata da un printing fiabesco fertile per reinventare storie o scriverne di nuove.  Crescendo diventa una lettrice vorace delle opere di Antoine de Saint-Exupéry che non smetterà mai di rileggere. Oggi “Rubare la notte” è uno dei finalisti del premio Strega 2023. La libreria Piave di Roma ci ha fatto conoscere Romana, Gioacchino e Valentina e l’importanza culturale di questi luoghi di incontri culturali..

In bocca al lupo Romana.

Auguri a Elly Schlein

Segretario PD – Scenari – Ringraziamenti

Innanzitutto vogliamo ringraziare Enrico Letta, per le difficoltà che ha dovuto affrontare nel perdere quasi tutte le elezioni tenute durante il suo mandato. Pare che il campo largo andava bene solo se restava Draghi o qualcun altro grand commis dello Stato.

Foto da “Repubblica”

Tornati al popolo il campo largo è divenuto una campo da calcetto dove la destra si è divertita a fare goal da ogni angolo.

A parte le battute però di Letta abbiamo apprezzato il carattere mite e la correttezza. Forte è stato anche quando ha proposto di destinare quote delle eredità alla creazione di posti di lavoro per i giovani. Allora si sono alzati in piedi tutti i ricchi d’Italia con in testa Berlusca che ha subito promesso di aumentare le pensioni agli anziani che hanno lavorato tutta la vita. Ma i giovani cosa dovrebbero fare? Si fa finta di non sapere che il capitalismo ormai si rivolge e si rifornisce nei luoghi ove la manodopera è pagata miseramente. Inutile che Papa Francesco ricordi l’importanza del lavoro: il capitalismo non ha anima.

La nuova segretaria Elly all’età di 39 anni ha bruciato tutte le tappe senza passare dal via. E’ stata eletta persino al Parlamento europeo pescando nello stesso acquario ove insiste il buon Bonaccini.

Da Bologna la grassa al magro bilancio dello Stato è un passo notevole. Bene le manifestazioni antifasciste a cui ha partecipato ma Elly dovrà dimostrare che non è opportuno lasciare praterie elettorali alla sua destra. Qualcuno diceva una volta che le elezioni si vincono al centro. O forse non è più così.

E anche il ritorno di fiamma con Conte non fa presagire vittorie elettorali a breve. Addirittura Grillo si è mostrato soddisfatto della scelta operata per la nuova segreteria. Lui che ha messo al comando Di Maio e poi lo ha cucinato ben bene.

Tra reddito di cittadinanza e superbonus non si sa il deficit prodotto cui dovranno far fronte le generazioni future. Non saremo noi però, nella giornata della festa delle donne, a demolire la figura di una donna segretaria del PD. Anzi diamo a Lei e al suo staff che ha giurato sarà tutto nuovo i migliori auguri di buon lavoro sperando di non dover attendere il 2027 per qualche soddisfazione elettorale a sinistra.

Ricordiamo però a noi stessi che l’Italia, dopo l’imbarbarimento generale prodotto dalle televisioni monopolistiche di Stato e del Cavaliere, forse è tornata al tempo di Cavour quando lui stesso sul letto di morte ammoniva che c’era bisogno di fare gli italiani. Quindi, siccome Calderoli vorrebbe addirittura tornare al tempo dei Comuni e dei servi della gleba, forse è inutile battersi sui diritti civili con questo Parlamento retrogrado e militaresco, mentre potrebbe tornare utile allearsi in Europa con le forze progressiste e stoppare le destre almeno in Europa nel 2024.