IL PARTIGIANO GIULIO QUESTI

Auguri Italia sempre dalla parte sbagliata

Chi ce lo fa fare di rischiare la pelle si chiedeva un giovane partigiano sulle Montagne sopra a Bergamo. Rispondeva subito qualcuno più anziano della Brigata che operava da quelle parti: “i tedeschi bruciano le case, violentano le donne, calpestano il suolo della nostra Patria, sono ragioni più che sufficienti per rischiare la vita e cercare di cacciarli”.

Giulio Questi fu uno di loro e i suoi ricordi li ha pubblicati in “Uomini e comandanti” presso Einaudi. Le sofferenze di quei giorni in montagna, gli ordini, i compagni raccolti via via che la Brigata si ingrandiva, le fucilazioni. L’Italia che voleva la liberazione dal nazifascismo è tutta in quelle azioni più o meno pianificate, agli ordini che venivano eseguiti, agli ideali che ognuno si portava dentro. 

In un’intervista a Repubblica alla domanda cosa fu per lui la liberazione Giulio Questi rispose: “Furono giorni memorabili. Ma subito dopo ci sentimmo spersi. Eravamo stati la legge. E poi più niente. Ci tolsero le armi. La grande allegria di libertà si spense a poco a poco. Lo Stato si riorganizzò nel nome della continuità. Tornarono i vecchi prefetti. Per cosa avevamo combattuto?”

Ecco, dopo ogni rivoluzione o insurrezione si torna indietro, c’è la restaurazione. Chi ha combattuto rischiando la vita e magari pensava ad un rinnovamento generale della società è destinato a forti delusioni. Cacciati nazisti e fascisti, al capitalismo occidentale non parve vero ricostruire e impossessarsi di quello che restava dell’Europa, giungendovi prima dei russi che incombevano da est.

Cosa fa un liberatore/conquistatore: installa basi missilistiche, costruisce un’alleanza militare solida come la NATO, pensando che il prossimo scontro potrà solo essere soltanto con nazioni ove è cresciuto il comunismo. Con la caduta del muro di Berlino nel 1990 e la fine degli accordi di Yalta l’immaginaria linea di difesa a protezione dell’occidente dal comunismo espansionistico dell’ex URSS si è spostato sempre più ad Est. Così arriviamo ai giorni nostri, all’invasione dell’Ucraina. Situazione molto diversa da quella degli anni 1943/1945. Qui ci sono stati accordi, quelli di Minsk, che Francia ed Inghilterra dovevano far rispettare nelle zone del Donbass, cosa che invece non è avvenuta.

La Russia attuale poi ha combinati uno dei guai più inspiegabili con l’invasione dell’Ucraina. Così ha tagliato i ponti con l’occidente a cui è storicamente legata (un tempo si parlava il francese si pensi un pò) isolandosi in una politica del tanto peggio tanto meglio, brigando in Africa e in medio Oriente. Dove la porterà questa politica sotto l’egida della Cina ormai quasi padrone del mondo non è dato sapere. Quello che è certo è che il battaglione Azov e la Wagner sono mercenari pagati per rischiare la vita e non hanno nulla a che fare con la resistenza italiana contro il nazifascismo.

Ormai l’ex blocco sovietico si è disintegrato ed è fallita la spinta a coinvolgere nel progetto europeo la Russia. La linea che dal Baltico arriva al Mar Nero costituisce la nuova frontiera, via via destinata ad essere rafforzata dal punto di vista militare.

I crimini commessi dai russi e dalle truppe mercenarie sul territorio ucraino impediscono che si giunga ad una pace vera. Sarà sempre un cessate il fuoco destinato a durare poco. Nel tempo poi le cose cambieranno. Basta considerare che i tedeschi che si sono macchiati dei più orrendi crimini di guerra oggi si trovino a pieno titolo in Europa e, anzi, forniscono armi all’Ucraina sostenendo l’anelito di quel popolo alla riconquista dei territori conquistati dai russi.

La guerra partigiana descritta da Giulio Questi è uno spaccato degli ideali e delle dure condizioni di vita di ragazzi con meno di vent’anni che volevano combattere per un Paese libero e socialista. Ma la resistenza ebbe anche altre componenti, persino quella monarchica. Incredibile ma vero visto che il fascismo si insediò all’inizio grazie alla debolezza della Monarchia che se avesse voluto avrebbe bloccato sul nascere la dittatura. 

Così l’Italia si divise di nuovo tra chi era pronto a passare dalla parte della Russia comunista e teneva le armi in cantina e i partiti occidentali che, come la Democrazia Cristiana, volevano restare sotto la protezione dell’America e della NATO.

Il Movimento Sociale, da cui proviene il nostro attuale Presidente del Consiglio, fu tenuto fuori dal cosiddetto Arco Costituzionale per anni, non avendo voluto ripudiare con chiarezza le idee fasciste. Onore a Gianfranco Fini che invece si assunse questa responsabilità a Fiuggi.

Ma anche oggi l’Italia è schierata con Paesi come l’Ungheria e la Polonia che notoriamente sono governati con il pugno di ferro nei confronti delle libertà essenziali. Di nuovo in minoranza, di nuovo dalla parte sbagliata della storia. Auguri Italia e italiani liberati e governati da gente a cui non affideresti nemmeno il condominio.

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Ancora sulla sinistra

L’Europa delle banche si è ripresa la scena. L’inflazione e le obbligazioni a reddito basso che hanno in pancia rischiano di fare collassare il sistema. Risultato è che si alzano i tassi, misura però non risolutiva. In questo quadro la sinistra non sa che pesci prendere.

Che l’Europa vada a destra se ne sono accorti tutti. Quando tutto si è un pò allentato, quando si parla un linguaggio nebuloso e si fa fatica a distinguere ciò che è buono da ciò che è cattivo e le regole hanno raggiunto limiti tali da essere inapplicabili arriva puntualmente la spinta contraria, quella della destra armata di patria, famiglia e moschetto.

I soldi facili, gli interessi negativi sulle obbligazioni, la stampa continua di moneta da parte di tutte le banche centrali sono misure che non potevano durare a lungo. E’ arrivata puntuale la stretta sul credito che ha tirato giù le pere marce dall’albero ma che crea problemi anche alle banche che marce non sono. Così il debito pubblico italiano rischia di divenire insostenibile considerata la crescita esponenziale degli interessi.

A Francia e Germania non è parso vero che Draghi, profondo conoscitore del sistema, uscisse di scena. Probabilmente attribuiranno a lui la colpa di trovarci con un debito altissimo, un’inflazione senza controllo e un’economia stagnante. Le banche europee sono venute fuori reclamando un’idonea remunerazione delle loro attività. Infatti l’inflazione taglia sia il valore dei crediti che quello dei debiti. Le banche che in periodi di crisi sono state obbligate ad acquistare le obbligazioni statali con rendimenti irrisori. Oggi sarebbe interessante vedere a quale valore quelle obbligazioni sono inserite nei bilanci delle banche, titoli che il mercato mai si sognerebbe di assorbire. Infatti ora sono stati emessi titoli di stato con interessi più alti e copertura dell’inflazione. Altrimenti i risparmiatori non li intercetti di sicuro. Come al solito lo Stato pantalone riacquisterà via via quelle obbligazioni ormai privi di valore e in cambio le banche collocheranno i nuovi titoli. Ormai in campo finanziario non esiste più il libero mercato. Vige un’economia statale di guerra di fronte alla quale gli istituti di credito non possono che essere accondinscendenti.

Così la governance franco-tedesca della BCE sta rialzando i tassi d’interesse sperando che il sistema si aggiusti. Ma non è detto.

In questo quadro la sinistra ha pensato bene di prendere in mano, quasi esclusivamente, la battaglia dei diritti delle minoranze che al resto del Paese proprio non interessa. E si diceva che Letta non c’aveva capito niente. D’altra parte il terzo polo che doveva avere i temi economici più nel mirino si accapiglia su questioni organizzative interne.

Così la destra ha una prateria per scorazzare, verificare le idee più estreme, acquisire consensi elettorali sempre maggiori. In Italia non bastano le idee. Devi far vedere quello che sai fare. E’ vero Bonaccini e la Schlein hanno fatto bene in Emilia Romagna ma si tratta di una regione che in Italia è stata sempre avanti insieme al Nord, una regione profondamente diversa non solo dal Sud ma anche dalle zone centrali sottosviluppate.

E allora è ora che i politici e gli intellettuali di sinistra, quelli di Capalbio, delle barche a vela, dei saggi sulla politica, di Cortina, vadano nei campi, sperimentino la durezza del lavoro mangiando cacio e cicoria e poi tornino alla politica. Altrimenti la politica resta nelle mani dei ricchi sia di destra che di sinistra. Invece, pare, si interessino delle prossime regate e di fissare con anticipo le vacanze estive tanto c’è il Presidente Meloni che risolverà tutto. Bella roba sì.

Il ritorno autunnale

Riflessioni sparse – Voglia – Ispirazioni – Attese – Arte

Il ritorno alle usate occupazioni, agli spazi vitali che siamo abituati a vivere durante la maggior parte dell’anno e il lavoro, per chi ce l’ha, è un sentimento studiato a più riprese da psicologi e sociologi.

Intanto perchè cresce sempre più la voglia di non tornare, di sentirsi liberi di librasi nel mondo, ritenendo una iattura la routine e i luoghi straconosciuti.

Poi perchè questo ritorno coincide con la fine dell’estate, la bella stagione dei poeti, gli attimi di libertà belli e irripetibili una volta tornati in città o al lavoro.

Ancora perchè quest’anno la farà da padrone la politica che viene detestata sempre più come una zavorra che nessuno vorrebbe ma che è necessaria per una democrazia ormai svuotata dei suoi sentimenti più nobili.

Insomma tutto sembra volgere verso il basso inclusa la temperatura.

E’ il capitalismo/comunismo che ci ha plasmati così. Qualsiasi tipo di organizzazione sociale adottiamo ci vuole in forma per il lavoro, per la produzione dei beni. Si può essere liberi ma per un periodo determinato poi, finita la ricreazione si deve tornare perchè l’economia è così. E non crediate che il ricco sfugga a questo meccanismo. Lui anzi ne soffre maggiormente. Basta guardarli. Sono sempre incazzati neri, consapevoli che la ricchezza è un bene effimero che va curato ogni istante della vita. Briatore che si è assunto la veste anche di selezionatore di giovani per l’imprenditoria ha nominato suo figlio di 12 anni amministratore delegato di una società. Si è traviati da piccoli anche dal lato capitalistico. E non c’è stata un’età dell’oro per le nostre civiltà. Gli unici momenti di felicità collettiva si sono avute dopo le catastrofi, quando, ad esempio, è finita una guerra disastrosa. Allora tutti si danno da fare, si ricostruisce, si diventa buoni, ma poi anche quest’età finisce e tutto torna plumbeo come il cielo di Londra.

Anche per gli studenti, che non sanno quali sbocchi lavorativi riserverà a loro la società del benessere, il ritorno sui libri è duro e mette alla prova la loro resistenza allo sballo. Ma occorre resistere, ricorrendo all’arte o alla religione a seconda delle nostre credenze. Sono due attività che ci aprono la mente spesso intenta a rimuginare sul chi me lo fa fare. L’arte non ha una finalità, a parte quella dell’artista di essere remunerato. Poi però l’opera d’arte ad ognuno racconta una storia, apre uno scenario nuovo. Ci fa volare sopra il cielo autunnale. Insomma arte, affetti e attività sportiva possono lenire la sofferenza di tornare alle usate abitudini.

L’ autunno, con i suoi colori, ci dice di spogliarci e colorarci per risorgere a primavera più belli di prima, dentro e fuori.

Draghi a testa alta e la vittoria di Pirro dei populisti

Draghi cominciava a dare fastidio, a fare ombra ai populisti italiani di destra e di sinistra. Prima andava bene per il Quirinale, poi viene sloggiato anche da Palazzo Chigi. La rivincita sarebbe Draghi alla testa di uno schieramento che vinca le elezioni ma forse è fantascienza.

Di sassolini dalle scarpe Draghi se ne è tolte un mucchio. Di rospi salviniani, berlusconiani e grillini ne ha dovuti mandare giù a iosa durante il suo governo giunto al capolinea. Da subito, sui ministri che dovevano far parte del suo governo, ha scartato molte proposte indecenti.

Nel corso del mandato ha mantenuto la barra a dritta. Fino a che ha inserito nei progetti alcune ipotesi divisive (termovalorizzatore, ius scholae e altre idee non condivise). Credo però che il tema vero sia la concorrenza. Il Cavaliere gode fin dai tempi di Craxi di un regime, perfezionato dal delfino Gasparri, a dir poco compiacente. Il servizio pubblico non deborda sulla pubblicità, tanto c’è il canone di noi beoti, e le TV cosiddette private fanno incetta di entrate pubblicitarie. Così possono pagare profumatamente conduttori e giornalisti che possono andarsene dalla TV pubblica quando vogliono.

La sinistra gestisce la terza rete e la sette di Cairo oltre ai posti in RAI spartiti col bilancino.

Per non parlare del settore professionisti dove manteniamo un sistema di ordini che richiama da vicino le corporazioni mussoliniane. Altro che concorrenza.

Idem per taxi, stabilimenti balneari e società in house. Queste cose vengono rinfacciate a Draghi ad ogni riunione che si svolga a livello europeo, ogni volta che l’Europa, prima di staccare assegni, ci chiede un ammodernamento del sistema Italia. E stavolta Draghi intendeva fare sul serio.

Ecco allora che l’italo-vecchiume leva la sua voce a tutela degli interessi di bottega e utilizza una stupida scissione dei grillini, adusi a parlare e basta, per mandare a casa un servitore dello Stato preparato e stimato.

Così la parabola italiana volge al peggio, con denari europei che verranno sperperati nei mille rivoli delle confraternite pubbliche e private, fino a quando l’Europa non ce ne chiederà conto.

Un bel dilemma per il Presidente Mattarella che stavolta si inc…. all’ennesima potenza perchè a febbraio tutti lo hanno pregato di restare, anche gli odierni giuda che hanno colpito il Presidente Draghi.

La speranza è che lo sbandierato camposanto di Calderoli (padre di una delle peggiori leggi elettorali) diventi una primavera di rinascita per l’Italia e la sinistra. Con il trio Berluscano, (massaia di Voghera, ce l’ho duro e fascino televisivo) potremmo forse ambire a cantare, d’estate insieme alle cicale, nelle balere romagnole sempre che i turisti accaldati non scoprano l’arcano e facciano smettere il baccano.

E dire che Renzi, un altro che ha tuonato contro il reddito di cittadinanza dall’alto del suo elevato reddito mensile, aveva previsto la conferma del governo.

Chi protegge chi

I Meli filospartani vengono distrutti

Tucidide, Il dialogo dei Meli, in La guerra del Peloponeso.

[…] Poi gli Ateniesi mossero anche contro l’isola di Melo con 30 navi loro, 6 di Chio e 2 di Lesbo: vi erano imbarcati 1200 opliti ateniesi, 300 arcieri a piedi e 20 arcieri a cavallo; inoltre circa 1500 opliti forniti dagli alleati e dagli abitanti delle isole. I Meli, che sono coloni spartani, non volevano assoggettarsi, come facevano gli abitanti delle altre isole, al predominio di Atene; ma, dapprima, se ne stavano tranquilli, senza schierarsi né con gli uni né con gli altri; poi, siccome gli Ateniesi ve li costringevano tormentando il loro territorio, erano venuti a guerra aperta. Ordunque i generali ateniesi Cleomede, figlio di Licomede, e Tisia, figlio di Tisimaco, accampatisi nell’isola con le forze di cui si è parlato, prima di mettere a ferro e a fuoco il paese, mandarono un’ambasceria per intavolare trattative. I Meli, però, non li condussero davanti al consiglio popolare e li invitarono invece a esporre lo scopo della loro venuta alla presenza dei magistrati e dei maggiorenti. Allora gli inviati di Atene parlarono così:

85. “Poiché non volete che noi esponiamo le nostre ragioni davanti al popolo, per timore che esso si lasci ingannare una volta che abbia sentito le nostre argomentazioni serrate, persuasive e che non ammettono replica (infatti, è per tale scopo, lo comprendiamo che ci avete condotti davanti a questo ristretto consiglio), voi che qui siete adunati garantitevi una sicurezza ancor maggiore. Non aspettate nemmeno voi di dare una risposta unica e conclusiva; ma vagliate ciò che noi diciamo punto per punto e replicate subito se qualche affermazione vi pare poco opportuna.

E, tanto per cominciare, diteci se la nostra proposta incontra il vostro favore.”

86. 1 consiglieri dei Meli risposero così: “Slla opportunità che i vari punti siano vicendevolmente chiariti in tutta tranquillità, non c’è nulla da obiettare sennonché, la guerra ormai è alle porte; non è solo una minaccia e questo, pare, non si accorda con quanto proponete. Noi vediamo, infatti, che siete venuti in veste di giudici di ciò che si dirà e che, alla conclusione, questo colloquio porterà a noi la guerra se com’è naturale, forti del nostro diritto, non cederemo; se invece accetteremo, avremo la schiavitù”.

87. Ateniesi: “Se, dunque, siete convenuti per fare sospettose supposizioni riguardo al futuro o per altre ragioni, piuttosto che per esaminare la situazione concreta che avete sotto gli occhi e prendere una decisione che comporta la salvezza della vostra città, possiamo far punto; se, invece, quest’ultimo è lo scopo del convegno, noi siamo pronti a continuare il discorso”.

88. Meli: “È naturale, e merita anche scusa, che quando ci si trova in simili frangenti si volgano parole e pensieri in mille parti: tuttavia,, questa riunione ha come primo intento la salvezza: e il colloquio si svolga pure, se vi pare; nel modo da voi suggerito”.

89. Ateniesi: “Da parte nostra, non faremo ricorso a frasi sonanti; non diremo fino alla noia che è giusta la nostra posizione di predominio perché abbiamo debellato i Persiani e che ora marciamo contro di voi per rintuzzare offese ricevute: discorsi lunghi e che non fanno che suscitare diffidenze. Però riteniamo che nemmeno voi vi dobbiate illudere di convincerci coi dire che non vi siete schierati al nostro fianco perché eravate coloni di Sparta e che, infine, non ci avete fatto torto alcuno. Bisogna che da una parte e dall’altra si faccia risolutamente ciò che è nella possibilità di ciascuno e che risulta da un’esatta valutazione della realtà. Poiché voi sapete tanto bene quanto noi che, nei ragionamenti umani, si tiene conto della giustizia quando la necessità incombe con pari forze su ambo le parti; in caso diverso, i più forti esercitano il loro potere e i piú deboli vi si adattano”.

90. Meli: “Orbene, a nostro giudizio almeno, l’utilità stessa (poiché di utilità si deve parlare, secondo il vostro invito, rinunciando in tal modo alla giustizia) richiede che non distruggiate quello che è un bene di cui tutti possono godere; ma quando qualcuno si trova nel pericolo, non gli sia negato ciò che gli spetta ed è giusto; e anche, per quanto deboli siano le sue ragioni, possa egli trarne qualche vantaggio, convincendone gli avversari. Questa politica sarà soprattutto utile per voi, poiché, in caso di insuccesso, servirete agli altri d’esempio per l’atroce castigo”.

91. Ateniesi: “Non siamo preoccupati, anche se il nostro impero dovesse crollare, per la sua fine: poiché, per i vinti, non sono tanto pericolosi i popoli avvezzi al dominio sugli altri, come ad esempio, gli Spartani (d’alra parte, ora, noi non siamo in guerra con Sparta), quanto piuttosto fanno paura i sudditi, se mai, assalendo i loro dominatori, riescano a vincerli. Ma, se è per questo, ci si lasci pure al nostro rischio. Siamo ora qui, e ve lo dimostreremo, per consolidare il nostro impero e avanzeremo proposte atte a salvare la vostra città, poiché noi vogliamo estendere il nostro dominio su di voi senza correre rischi e nello stesso tempo salvarvi dalla rovina, per l’interesse di entrambe le parti”.

92. Meli: “E come potremmo avere lo stesso interesse noi a divenire schiavi e voi ad essere padroni?”.

93. Ateniesi: “Poiché voi avrete interesse a fare atto di sottomissione prima di subire i più gravi malanni e noi avremo il nostro guadagno a non distruggervi completamente”.

94. Meli: “Sicché non accettereste che noi fossimo, in buona pace, amici anziché nemici, conservando intatta la nostra neutralità?”.

95. Ateniesi: “No, perché ci danneggia di più la vostra amicizia, che non l’ostilità aperta: quella, infatti, agli occhi dei nostri sudditi, sarebbe prova manifesta di debolezza, mentre il vostro odio sarebbe testimonianza della nostra potenza”.

96. Meli: “E i vostri sudditi sono così ciechi nel valutare ciò che è giusto, da porre sullo stesso piano le città che non hanno con voi alcun legame e quelle che, per lo più vostre colonie, e alcune addirittura ribelli, sono state ridotte al dovere?”.

97. Ateniesi: “Essi pensano che, tanto agli uni che agli altri, non mancano motivi plausibili per difendere la loro causa; ma ritengono che alcuni siano liberi perché sono forti e noi non li attacchiamo perché abbiamo paura. Sicché, senza

contare che il nostro dominio ne risulterà più vasto, la vostra sottomissione ci procurerà maggior sicurezza; tanto più se non si potrà dire che voi, isolani e meno potenti di altri, avete resistito vittoriosamente ai padroni del mare”.

98. Meli: “E con l’altra politica, non pensate di provvedere alla vostra sicurezza? Poiché voi, distogliendoci dal fare appello alla giustizia, ci volete indurre a servire alla vostra utilità, bisogna pure che noi, qui, a nostra volta, cerchiamo di persuadervi, dimostrando qual è il nostro interesse e se per caso non venga esso a coincidere anche con il vostro. Or dunque tutti quelli che ora sono neutrali non ve li renderete nemici, quando, osservando questo vostro modo di agire, si faranno la convinzione che un giorno voi andrete anche contro di loro? E in questo modo, che altro farete voi se non accrescere i nemici che già avete e trascinare al loro fianco, pur contro voglia, coloro che fino ad ora non ne avevano avuto nemmeno l’intenzione?”.

99. Ateniesi: “No, perché non riteniamo per noi pericolosi quei popoli che abitano sul continente e che, per la libertà che godono, ci vorrà dei tempo prima che facciano a noi il viso dell’armi; sono piuttosto gli abitanti delle isole che ci fanno paura; quelli che, qua e là, come voi, non sono sottomessi ad alcuno; e quelli che mal si rassegnano ormai ad una dominazione imposta dalla necessità. Costoro, infatti, molto spesso affidandosi ad inconsulte speranze, possono trascinare se stessi in manifesti pericoli e noi con loro”.

100. Meli: “Ordunque, se voi affrontate cosi gravi rischi per non perdere il vostro predominio e quelli che ormai sono vostri schiavi tanti ne affrontano per liberarsi di voi, non sarebbe una grande viltà e vergogna per noi, che siamo ancora liberi, se non tentassimo ogni via per evitare la schiavitù?”.

101. Ateniesi: “No; almeno se voi deliberate con prudenza: poiché questa non è una gara di valore tra voi e noi, a condizione di parità, per evitare il disonore; ma si tratta, piuttosto, della vostra salvezza, perché non abbiate ad affrontare avversari che sono di voi molto più potenti”.

102. Meli: “Ma sappiamo pure che le vicende della guerra prendono talvolta degli sviluppi più semplici che non lasci prevedere la sproporzione di forze fra le due parti. Ad ogni modo, per noi cedere subito significa dire addio a ogni speranza: se, invece, ci affìdiamo all’azione, possiamo ancora sperare che la nostra resistenza abbia successo”.

103. Ateniesi: “La speranza, che tanto conforta nel pericolo, a chi le affida solo il superfluo porterà magari danno, ma non completa rovina. Ma quelli che a un tratto di dado affidano tutto ciò che hanno (poiché la speranza è, per natura, prodiga) ne riconoscono la vanità solo quando il disastro è avvenuto; e, scoperto che sia il suo gioco, non resta più alcun mezzo per potersene guardare in futuro. Perciò, voi che non siete forti e avete una sola carta da giocare, non vogliate cadere in questo errore. Non fate anche voi come i più che, men- tre potrebbero ancora salvarsi con mezzi umani, abbandonati sotto il peso del male i motivi naturali e concreti di sperare, fondano la loro fiducia su ragioni oscure: predizioni, vaticini, e altre cose del genere, che incoraggiano a sperare, ma poi traggono alla rovina”.

104. Meli: “Anche noi (e potete ben crederlo) consideriamo molto difficile cimentarci con la potenza vostra e contro la sorte, se non sarà ad entrambi ugualmente amica. Tuttavia abbiamo ferma fiducia che, per quanto riguarda la fortuna che procede dagli dèi, non dovremmo avere la peggio, perché, fedeli alla legge divina, insorgiamo in armi contro l’ingiusto sopruso; quanto al- l’inferiorità delle nostre forze, ci assisterà l’alleanza di Sparta, che sarà indotta a portarci aiuto, se non altro, per il vincolo dell’origine comune e per il sentimento d’onore. Non è, dunque, al tutto priva di ragione la nostra audacia”.

105. Ateniesi: “Se è per la benevolenza degli dèi, neppure noi abbiamo paura di essere da essi trascurati; poiché nulla noi pretendiamo, nulla facciamo che non s’accordi con quello che degli dèi pensano gli uomini e che gli uomini stessi pretendono per sé. Gli dèi, infatti, secondo il concetto che ne abbiamo, e gli uomini, come chiaramente si vede, tendono sempre, per necessità di natura, a dominare ovunque prevalgano per forze. Questa legge non l’abbiamo istituita noi , non siamo nemmeno stati i primi ad applicarla; così, come l’abbiamo ricevuta e come la lasceremo ai tempi futuri e per sempre, ce ne serviamo, convinti che anche voi, come gli altri, se aveste la nostra potenza, fareste altrettanto. Da parte degli dèi, dunque, com’è naturale, non temiamo di essere in posizione di inferiorità rispetto a voi. Per quel che riguarda l’opinione che avete degli Spartani, e sulla quale basate la vostra fiducia che essi accorreranno in vostro aiuto per non tradire l’onore, noi vi complimentiamo per la vostra ingenuità, ma non possiamo invidiare la vostra stoltezza. Gli Spartani, infatti, quando si tratta di propri interessi e delle patrie istituzioni, sono più che mai seguaci della virtù; ma sui loro rapporti con gli altri popoli, molto ci sarebbe da dire: per riassumere in breve, si può con molta verità dichiarare che essi, più sfacciatamente di tutti i popoli che conosciamo, considerano virtù ciò che piace a loro e giustizia ciò che loro è utile: un tal modo di pensare, dunque, non s’accorda con la vostra stolta speranza di salvezza.

106. Meli: Anzi, è proprio questa la ragione che ci infonde la massima fiducia in quello che è un effettivo interesse loro: non vorranno essi, tradendo i Meli che sono loro coloni, suscitare il sospetto fra i Greci amici e favorire in tal modo i loro nemici”.

107. Ateniesi: “Voi, dunque, non siete convinti che l’interesse di un popolo si identifica con la sua sicurezza, mentre giustizia e onestà si servono a rischio di pericoli: e questo è un coraggio che, di solito, gli Spartani assolutamente non dimostrano”.

108. Meli: “Eppure noi siamo sicuri che, per la causa nostra, essi affronteranno più volentieri anche i pericoli e meno gravi li giudicheranno in confronto agli altri; perché, come campo di azione, siamo vicini al Peloponneso e, per disposizione d’animo, data la comune origine, diamo una garanzia di fedeltà maggiore degli altri”.

109. Ateniesi: “Non è tanto la simpatia di coloro che invocano l’aiuto che garantisce la sicurezza di chi si accinge a portarlo, quanto, piuttosto, la superiorità effettiva delle loro forze: a questo gli Spartani badano anche più degli altri (non si fidano, si vede, della propria potenza e, per marciare contro i vicini, hanno bisogno dell’appoggio di molti alleati); sicché non c’è da pensare che essi facciano uno sbarco in un’isola, quando siamo noi i padroni del mare”.

110. Meli: “Potrebbero, però, incaricare altri dell’impresa: è vasto il mare di Creta, e sarà meno facile ai padroni del mare intercettare i convogli nemici, che a questi mettersi in salvo se vogliono non farsi scorgere. E se anche qui dovessero fallire, potrebbero volgersi contro il vostro paese e contro quello dei vostri alleati che non sono stati attaccati da Brasida; e così voi dovreste combattere non tanto per un paese estraneo, quanto per difendere i vostri alleati e il vostro stesso paese”.

111. Ateniesi: “In tal caso non si tratterebbe di una esperienza nuova, nemmeno per voi, che ben sapete come gli Ateniesi non si siano mai ritirati da alcun assedio, per paura d’altri. Osserviamo, invece, che, mentre dicevate di voler deliberare per la vostra salvezza, nulla in così lungo colloquio avete ancora detto, che possa giustificare in un popolo la fiducia e la certezza che esso verrà salvato dalla rovina: la vostra massima sicurezza è affidata a speranze che si volgono al futuro; le forze di cui al momento disponete non sono sufficienti a garantirvi la vittoria su quelle che, già ora, vi sono contrapposte. Darete, quindi, prova di grande stoltezza di mente, se anche dopo che ci avrete congedati, non prenderete qualche altra decisione che sia più saggia di queste. Poiché non dovrete lasciarvi fuorviare dal punto d’onore che tanto spesso porta gli uomini alla rovina tra pericoli inevitabili e senza gloria. Molti, infatti, che pur vedevano ancor chiaramente a quale sorte correvano, furono attirati da quello che noi chiamiamo sentimento d’onore, dalla suggestione di un nome pieno di lusinghe; sicché, soggiogati da quella parola, in effetto piombarono ad occhi aperti in mali senza rimedio, attirandosi un disonore più grave di quello che volevano fuggire, perché frutto della loro stoltezza, non imposto dalla sorte. Da questo errore voi vi guarderete, se intendete prendere una buona decisione; e converrete che non ha nulla di infamante il riconoscere la superiorità della città più potente di Grecia, che ha propositi di moderazione; diventarne alleati e tributari, conservando la sovranità nel vostro paese. Dato che vi si offre la scelta tra la guerra e la vostra sicurezza, non ostinatevi nel partito peggiore: il massimo successo arriderà sempre a quelli che si impongono a chi ha forze uguali, mentre con i più forti si comportano onorevolmente e quelli più deboli trattano con moderazione e giustizia. Riflettete, dunque, anche quando noi ci ritireremo; ripetetevi spesso che è per la patria vostra che deliberate; che la patria è una sola, e la sua sorte da una sola deliberazione sarà decisa, di salvezza o di rovina”.

112. Gli Ateniesi si ritirarono dalla sala del convegno; e i Meli, restati soli, constatato che il loro punto di vista rimaneva presso a poco quale l’avevano esposto, formularono questa risposta: “Noi, o Ateniesi, non la pensiamo diversamente da prima; né mai ci indurremo a privare della sua libertà, in pochi momenti, una città che ha già 700 anni di vita, ma, fidando nella buona sorte che fino ad oggi, con l’aiuto degli dei, l’ ha salvata e nell’appoggio degli uomini, specie di Sparta, faremo di tutto per conservarla. Vi proponiamo la nostra amicizia e neutralità, a patto che vi ritiriate dal nostro paese, dopo aver concluso degli accordi che diano garanzia di tutelare gli interessi di entrambe le parti”.

113. Tale fu la risposta dei Meli; e gli Ateniesi, mettendo fine ormai al colloquio, dissero: “A quanto pare, dunque, da queste decisioni, voi siete i soli a considerare i beni futuri come più evidenti di quelli che avete davanti agli occhi; mentre con il desiderio voi vedete già tradotto in realtà ciò che ancora è incerto e oscuro. Orbene, poiché vi siete affidati agli Spartani, alla fortuna e alla speranza, e in essi avete riposto la fiducia più completa, altrettanto completa sarà pure la vostra rovina”.

114. Gli inviati di Atene se ne tornarono, quindi, all’accampamento; e i generali allora, vedendo che i Meli non volevano sentir ragione, subito si accinsero ad atti di guerra, e, ripartitisi per città i vari settori, costruirono un muro tutto intorno ai nemici. Poi gli Ateniesi lasciarono in terra e sul mare un presidio formato di soldati loro e alleati; quindi, con la maggior parte delle truppe si ritirarono. La guarigione rimasta sul posto continuò l’assedio.

115. Nello stesso periodo di tempo, gli Argivi fecero irruzione nel territorio di Fliunte; ma, sorpresi in un’imboscata dai Fliasii, che erano rinforzati dagli esuli di Argo, lasciarono sul terreno circa 80 uomini. Gli Ateniesi, rientrati da Pilo, avevano portato un ricco bottino degli Spartani; questi, però, anche così rifiutarono di rompere la tregua e far guerra aperta; tuttavia fecero proclamare per mezzo di araldi che autorizzavano chiunque volesse dei loro a depredare gli Ateniesi; i Corinzi per delle divergenze particolari dichiararono guerra ad Atene: tutto il resto del Peloponneso se ne stava tranquillo. Una notte i Meli attaccarono quella parte del muro degli Ateniesi che guardava la piazza del mercato e l’espugnarono: uccisero alcuni difensori, introdussero in città viveri e tutto quanto poterono trovare di generi utili, quindi si ritirarono e stettero all’erta. Gli Ateniesi, in seguito, provvidero a migliorare il servizio di guardia. Intanto anche l’estate volgeva al termine.

116. Nell’inverno seguente gli Spartani fecero i preparativi per una irruzione nell’Argolide; ma, siccome i sacrifici fatti sui confini per il successo della spedizione non erano risultati favorevoli, si ritirarono. Gli Argivi allora, in seguito a questo tentativo, sospettarono di complicità alcuni dei loro concittadini: qualcuno fu arrestato, qualche altro si diede alla fuga. Nella stessa epoca, i Meli con un nuovo assalto espugnarono un’altra parte del muro ateniese, approfittando che le guardie non erano numerose. Ma più tardi, sic- come questi tentativi si ripetevano, venne da Atene una seconda spedizione, al comando di Filocrate, figlio di Demeo; sicché, stretti ormai da un assedio molto rigoroso, ed essendosi anche inoltrato il tradimento, i Meli si arresero senza condizioni agli Ateniesi.

Questi passarono per le armi tutti gli adulti caduti nelle loro mani e resero schiavi i fanciulli e le donne: quindi occuparono essi stessi l’isola e più tardi vi mandarono 500 coloni. 

Un tiranno invadente in politica

Il guerriero nato — Alessandro o Napoleone — è un uomo che sa impiegare intelligentemente la forza fisica d’altri uomini e di macchine: ma la forza fisica degli uomini e delle macchine è una brutalità inerte, che non può essere attivata se non da una volontà umana. Perciò l’intelligenza non basta al soldato; ma gli è d’uopo della volontà, perché il soldato crea essenzialmente con un atto di volontà, a differenza del filosofo e dell’artista che creano con puri atti d’intelligenza.

Quindi l’essenza del carattere guerresco è lo sviluppo enorme della volontà, e il bisogno di usare questa facoltà più di tutte le altre. Ma ad uno sviluppo enorme della volontà si unisce sempre l’orgoglio di Lucifero, una coscienza di sè smisurata; perché è nello sforzo della volontà vittoriosa degli ostacoli che lo spirito si esalta sino al più sfolgorante delirio di grandezza, sino a farneticare, come accadde ad Alessandro, apoteosi e adorazioni di sé vivente, come di un Dio. Quale farmaco potrebbe ubriacare più l’orgoglio umano che la frenesia dello sforzo e l’ebbrezza del successo? Ecco perché un guerriero, nelle cose della politica, è sempre un tiranno invadente.

Guglielmo Ferrero, L’Europa giovane.

Tutti uguali i dittatori

Traduzione libera della recensione di George Orwell (1940) del Mein Kampf di Adolf Hitler

(From The Collected Essays, Journalism and Letters of George Orwell, Volume 2, edited by Sonia Onvell and Ian Angus, copyright 0 1968 by Sonia Brownell Onvell. Reprinted by permission of Harcourt Brace Jovanovich, Inc.)

È un segno della velocità con cui si stanno muovendo gli eventi che l’edizione non espurgata del Mein Kampf di Hurst e Blackett, pubblicata solo un anno fa, si stata rivista in senso pro-hitleriano. L’ovvia intenzione della prefazione e delle note del traduttore è quella di ridimensionare la ferocia del libro e di presentare Hitler come una persona rispettabile. Perché a quella data Hitler era ancora rispettabile. Aveva schiacciato il movimento operaio tedesco, e per questo le classi proprietarie erano disposti a perdonarlo quasi di tutto. Sinistra e destra concordavano nell’idea molto superficiale che il nazionalsocialismo era semplicemente una versione del conservatorismo.

Poi all’improvviso si è scoperto che Hitler non era tutto sommato rispettabile. Come risultato di ciò, l’edizione di Hurst e Blackett è stata ristampata in una nuova copertina dove si spiega che tutti i profitti saranno devoluti alla Croce Rossa. Tuttavia, semplicemente sull’evidenza interna di Mein Kampf, è difficile credere che un vero cambiamento abbia avuto luogo negli obiettivi e nelle opinioni di Hitler. Quando si confrontano le sue espressioni di un anno fa o giù di lì con quelle fatte quindici anni prima, una cosa che colpisce è la rigidità della sua mente, il modo in cui la sua visione del mondo non si sviluppa. È la visione fissa di un monomaniaco e probabilmente non molto influenzato dalle manovre temporanee della politica di potere. Probabilmente, nella mente di Hitler, il Patto russo-tedesco rappresenta non più che una modifica dell’orario. Il piano contenuto nel Mein Kampf è quello di distruggere prima la Russia, con l’intenzione implicita di distruggere in seguito l’Inghilterra. Ora, “come” si è scoperto, l’Inghilterra deve essere trattata per prima, perché la Russia era la più facilmente corrotta dei due. Ma il turno della Russia arriverà quando l’Inghilterra sarà messa fuori gioco – questo, senza dubbio, è quello che pensa Hitler. Se poi le cose andranno in questo modo è un’altra questione.

Supponiamo che il programma di Hitler possa essere messo in atto. Ciò significa che, tra cento anni, ci sarà uno stato continuo di 250 milioni di tedeschi con abbondanza di “spazio vitale” (che si estende fino all’Afghanistan o giù di lì), un orribile impero senza cervello in cui, essenzialmente, non succede mai nulla tranne l’allenamento dei giovani per la guerra e l’allevamento senza fine di carne fresca da cannone. Com’è che è stato in grado di pianificare questo mostruosa visione del mondo è facile dirlo; nella prima fase della sua carriera fu finanziato dagli industriali pesanti, che vedevano in lui l’uomo che avrebbe distrutto socialisti e comunisti. Non l’avrebbero appoggiato, però, se non avesse parlato a nome di un grande movimento già esistente. Ancora una volta, la situazione in Germania, con i suoi sette milioni di disoccupati, era ovviamente favorevole ai demagoghi. Ma Hitler non sarebbe riuscito contro i suoi numerosi rivali senza l’attrazione che promana dalla sua personalità, che si può sentire anche nella scrittura goffa di Mein Kampf, e che è senza dubbio travolgente quando uno sente i suoi discorsi… . Sta di fatto che c’è qualcosa di profondamente affascinante in lui. Lo si sente quando si vedono le sue fotografie, soprattutto la fotografia inserita nell’edizione di Hurst e Blackett, che mostra Hitler nei suoi primi anni in camicia marrone. È una patetica faccia da cane, il volto di un uomo che soffre per torti intollerabili. In un modo più virile riproduce l’espressione di innumerevoli immagini di Cristo crocifisso, e non c’è dubbio che è così che Hitler stesso, si percepisce. La causa iniziale e personale della sua doglianza contro l’universo può solo essere immaginato; ma in ogni caso il risentimento è palpabile. È il martire, la vittima, il Prometeo incatenato alla roccia, l’eroe sacrificale che combatte da solo con probabilità di successo impossibili. Se stava uccidendo un topo sapeva trasformarlo in un drago. Si sente, come con Napoleone, che sta combattendo contro il destino, che non può vincere, e che, in qualche modo, se lo merita. L’attrazione che genera tale posizione è ovviamente enorme; metà dei film sono stati girati utilizzando questi archetipi.

Inoltre ha colto la falsità dell’edonistico atteggiamento verso la vita. Quasi tutto il pensiero occidentale dall’ultima guerra in poi, certamente tutto il pensiero “progressista”, ha presupposto tacitamente che gli esseri umani non desiderano nulla al di là di facilità, sicurezza e assenza di dolore. In tale concezione della vita non c’è spazio, per esempio, per il patriottismo e le virtù militari. Il socialista che trova i suoi figli a giocare con i soldati di solito è sconvolto, ma non è mai in grado di pensare a un sostituto vero dei soldatini di piombo. I pacifisti di latta non sono utili. Hitler, perché nella propria mente priva di gioia lo sente con una forza eccezionale, sa che gli esseri umani non vogliono solo conforto, sicurezza, orario di lavoro ridotto, igiene, controllo delle nascite, in generale, il buon senso; anche loro, almeno ad intermittenza, vogliono la lotta e il sacrificio di sé, il rullo dei tamburi, bandiere e sfilate di fedeltà. Tuttavia come teorie economiche, il fascismo e il nazismo sono psicologicamente molto più solide di qualsiasi altra concezione edonistica della vita. Lo stesso è probabilmente vero per la versione militarizzata di Stalin del socialismo. Tutti e tre i grandi dittatori hanno accresciuto il loro potere imponendo pesi intollerabili ai loro popoli. Considerando che il socialismo, e anche il capitalismo in un modo più a malincuore, ha detto alla gente “Vi offro di godervi la vita”, Hitler ha detto loro ” vi offro lotta, pericolo e morte”, e di conseguenza un’intera nazione si getta ai suoi piedi. Forse più tardi si stuferanno di lui e cambieranno idea, come alla fine dell’ultima guerra. Dopo alcuni anni di orrore e fame “La più grande felicità per il maggior numero di persone” è un buon slogan, ma in questo momento “Meglio una fine orribile che un orrore senza fine” è un messaggio vincente. Ora che noi stiamo combattendo contro l’uomo che l’ha coniato, dovremmo non sottovalutare il suo fascino emotivo.

Presidente Mattarella: se può, resti al Quirinale

Il senso dello Stato richiesto alle elite

Massimo rispetto per la volontà espressa di lasciare il Quirinale al termine di un settennato di difficile gestione politica ed emergenziale.
La casa in locazione, il ricordo dell’ex Presidente Leone, la Costituzione e via dicendo ci dicono che è una decisione presa.
Tuttavia Presidente, io non sono nessuno, ma Le chiedo, sommessamente, di restare al proprio posto.
Lei che ha perso un fratello nella lotta alla mafia, Lei che è il dono più bello, in mezzo a tante “minchiate”, che ci ha regalato il Presidente Renzi.
Perchè deve restare?
A febbraio se lascia il Quirinale inizierà per l’Italia un periodo burrascoso, di lotte tra fazioni capitanate da personaggi quantomeno discutibili che operano al riparo dai riflettori.
Ci consenta di arrivare almeno fino al 2023, con la speranza che almeno il virus non farà più paura. Anche la platea di pretendenti al Quirinale forse si farà più definita e verrà scelto il suo successore senza la spada di damocle delle elezioni o dell’incognita di quale sia il futuro del Presidente Draghi che sta conducendo l’Italia fuori dal pantano in cui si trova.
L’Italia si sta riprendendo ora, ma con enormi sofferenze in tutti i settori.
Non si trovano medici che vogliano stare in prima linea, infermieri, non abbiamo strutture sanitarie adeguate.
Nel 2023 la vaccinazione sarà comunque a buon punto e forse avremo nuovi farmaci. Insomma, non abbandoni la nave, Presidente, come hanno fatto altri personaggi persino in Vaticano.
Del resto prima di Lei un altro Presidente è rimasto sul colle supplicato a rimanere al Quirinale per paura del default economico dell’Italia.
Oggi il bene di un popolo distratto, preoccupato e sull’orlo di una crisi di nervi richiede che le elite migliori, come insegnava Guglielmo Ferrero,
mantengano, saldamente, le redini del potere.
In più arriveranno i soldi europei ed è necessario stare in guardia perchè fanno gola a tutti, mafie comprese.
Per questo non può andarsene. Nè Lei nè il Presidente Draghi potete abbandonarci a noi stessi. Non è il momento dei formalismi quali: sette anni sono troppi, i principi costituzionali… La situazione eccezionale che viviamo impone a tutti un alto senso delle istituzioni.
Quando si prende il peso di una Nazione sulle spalle non ci si può sgravare nel momento del bisogno, anche se è formalmente legittimo.
Immagini l’Italia nel 2022 e 2023. Se con il Green pass si sta sfiorando la guerra civile, cosa succederà se le forze populiste prendessero il sopravvento cavalcando, come sanno fare bene, gli impulsi più retrogradi del popolo, quello del bar, del “che c’è nel vaccino?”, del complottismo e del terrapiattismo. L’assenteismo nelle elezioni denota una forte disaffezione di parte consistente della popolazione nei confronti della politica.
Presidente resti al suo posto e la storia non lo ricorderà per il rifiuto di continuare nelle funzioni presidenziali – si sa le masse hanno memoria corta – ma per quello che è, una persona degna, preparata e onesta al servizio dell’Italia.

Napoleone: ei fu

5 maggio 1821: moriva Napoleone

Guglielmo Ferrero, un grande intellettuale italiano costretto in esilio dal fascismo e fine studioso del potere, ha rimproverato a Napoleone lo sconquasso portato in Europa dove ha affossato il principio di legittimità ed affermato quello della forza ponendo le basi di un conflitto perenne e insanabile tra i popoli.

Esportare la rivoluzione fu l’avventura di Napoleone, appoggiata non sempre dal Direttorio francese.

Anche il modo di condurre la guerra cambiò rapidamente riponendo in soffitta le regole fino ad allora rispettate dai governi legittimi e dalle loro armate.

Le scorribande napoleoniche finirono per rifornirsi di tutto il necessario spogliando i popoli conquistati, imponendo vessazioni e requisizioni. Molte opere del genio italico e non solo finirono a Parigi.

La rivoluzione francese reclamava sempre maggiori risorse.

La guerra combattuta in modo barbarico era l’unico modo possibile per una Repubblica francese in preda ad una profonda crisi economica che non consentiva il mantenimento di un esercito sterminato per di più operante all’estero.

Come contropartita Napoleone portava il vessillo della libertà dagli orpelli medievali, aprì i ghetti in cui erano rinchiusi gli ebrei, emanò norme per la sepoltura dei morti fuori dalle mura cittadine sopratutto per ragioni igienico-sanitarie, esportò il codice civile.

Insomma portò in Italia il vento illuministico fino a quel momento limitato all’ambito delle correnti di pensiero.

Manzoni, nel suo famoso 5 maggio, scritto in pochi giorni dopo la morte di Napoleone, esprime la sua pietà cristiana per un uomo che lascia la terra, in solitudine, su un’isola sperduta dell’Oceano, ma riconciliato con Dio.

Verrebbe da chiosare che questa è la fine riservata agli uomini della provvidenza ai quali si chiedono gesta sovrumane salvo poi scaricarli e rinnegarli.

Il condottiero Napoleone incute paura quando avanza alla testa del suo esercito, quando entra trionfante a Milano. Viene acclamato dalle forze più avanzate dei popoli europei che vedono in lui la liberazione da regimi oppressivi e oscurantisti.

Molti intellettuali hanno piantato l’albero della libertà inneggiando alle sue gesta, chiamandolo liberatore, salvo poi ricredersi una volta conosciuto il sistema napoleonico-francese non meno vessatorio dei regimi spodestati.

Ferrero, da elitista quale era, non può accettare la rivoluzione del popolo che descrive come un “sovrano fanciullo, capriccioso e innocente, bonario e crudele, facile vittima, per pochezza di mente e per rude semplicità di passioni, della furberia e dell’impostura”.

Se questo popolo si porrà al seguito di personaggi violenti e arrivisti condurrà gli stati alle peggiori dittature, distruggerà la legittimità del potere e utilizzerà come strumento di governo la paura.

Sappiamo poi come la storia, invaghitasi delle passioni più violente, abbia lasciato sul campo una lunga e densa scia di sangue.

Quale monito? Oggi non è vero che siamo al riparo da certe involuzioni. Ogni nazione ha i missili puntati sulle sue città più popolose. Si studiano sistemi di guerra sempre più sofisticate. L’ONU, strumento di pacificazione mondiale, sembra alquanto paralizzato da veti incrociati. In Russia e in Cina i Presidenti hanno pensato bene di farsi nominare a vita, evitando coì qualsiasi vaglio democratico, e non è cosa da poco. Basta vedere gli effetti su stampa, social network e opposizione interna continuamente sorvegliati, censurati e incarcerati.

La democrazia resta il migliore sistema di governo possibile ma nel mondo ce n’è sempre meno.